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Sia fatta luce sulla strage dei moby dick

Erano in sette, molto giovani, pachidermi fragilissimi che si muovevano con gesti silenziosi e austeri in fondo agli abissi. Poi è accaduto qualcosa, come un boato nel loro cervello: hanno iniziato a risalire freneticamente le profondità mettendosi a nuotare con foga, uno dietro l’altro, puntando non più al largo ma verso la costa, su fondali via via sempre più bassi fino a spiaggiarsi, e a morire boccheggianti sul bagnasciuga di Foce Varano. Non sappiamo se sia dipeso dalle variazioni del clima, dall’inquinamento o da qualche aggeggio civile o militare che messo in acqua ha squassato gli equilibri della natura: sappiamo però che la commovente fine dei sette capodogli spirati sul litorale del Gargano una settimana fa, costituisce un evento talmente misterioso e inquietante da meritare chiarezza.

Un massacro che ha coinvolto animali protetti da quattro convenzioni internazionali poiché indicati fra quelli a rischio di estinzione: se attribuibile a colpe umane, la loro morte configura quindi un reato. Curiosamente, però, nessuna procura ha ancora avviato alcuna inchiesta: pare si attendano gli esiti dell’autopsia faticosamente eseguita sui resti dei sette animali. Oltre cento tonnellate di grasso e di carne fra le quali ha scandagliato per giorni alla ricerca della verità un esperto anatomo patologo.

Ora i campioni prelevati sulle carcasse sono finiti sotto i microscopi di cinque centri di ricerca universitari, ma un primo fondamentale indizio già emerge: quando si sono spiaggiate, quelle bestie erano sane. Non è stata la natura quindi a ucciderle: basterà questo a smuovere gli investigatori? Se si attendo i tempi delle burocrazie rinviando ogni indagine alla consegna da parte dei laboratori dei verdetti ufficiali, le prove (se crimine c’è stato) rischiano di scomparire.

Sappiamo, semplicemente spulciando tra le ordinanze delle capitanerie, che in quei giorni dalle coste pugliesi sono partite esercitazioni militari, sappiamo che si sono mosse navi incaricate di condurre indagine sismiche sottomarine, sappiamo che altre attendevano di eseguire studi di profondità alla ricerca di idrocarburi. Alcune di queste attività implicano (o potrebbero implicare) l’impiego di strumentazioni a ultrasuoni notoriamente letali per i sensibili apparati di orientamento dei capodogli.

Quel poco che sappiamo su quanto si verificava nelle acque italiane già inquieta, ma non sappiamo assolutamente nulla di quanto possa invece essersi verificato sull’altra sponda, nelle acque greche, albanesi, montenegrine o croate. Solo la forza di una tempestiva inchiesta della magistratura, capace di estendersi a livello internazionale, può insomma accertare cosa sia davvero accaduto nelle profondità del mare Adriatico al punto da far impazzire quei giovani Moby Dick spingendoli ad un innaturale gesto suicida.

Pretendere ora di sapere che cosa li abbia uccisi ha poco a che fare con la pur ammirevole indignazione degli animalisti. È infatti molto di più: è un ineludibile gesto di civiltà.
CARLO BOLLINO