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Sei povero e pugliese? Allora paghi più tasse

Italia spaccata in due nell’andamento della pressione fiscale: i territori più ricchi riducono i tributi, mentre i più poveri li aumentano. Nel 2012, a fronte di un reddito di 29.477 euro pro capite, in media ogni cittadino del Veneto ha versato al proprio comune di residenza 532 euro, contro gli oltre 550 di un campano (che però ha un reddito di oltre 13mila euro più basso). Inoltre dal 2007 al 2012 l’ICI/IMU al Nord è crollata del 39%, mentre al Sud è scesa soltanto dell’1,1%. E al crescere del PIL, per ogni 1.000 euro pro capite in più, il prelievo nei Comuni del Nord si riduce di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud aumenta di 15 euro e 50 centesimi. Secondo la SVIMEZ la presenza di un Nord tributariamente regressivo e di un Sud progressivo accresce le diseguaglianze del Paese e, in assenza di trasferimenti perequativi, non aiuta a spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere.

È quanto emerge dallo studio «Le entrate tributarie dei Comuni italiani dal 2007 al 2012: crisi economica, federalismo e Mezzogiorno» di Federico Pica, Andrea Pierini e Salvatore Villani, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ diretto da Riccardo Padovani. Condotto su dati SIOPE e del Ministero delle Finanze, lo studio analizza l’andamento delle entrate tributarie dei Comuni e della pressione fiscale dal 2007 (anno antecedente l’esclusione dell’ICI dalle prime case da parte del Governo Berlusconi) al 2012 (anno in cui il Governo Monti reintroduce l’IMU) nelle diverse regioni a statuto ordinario.

Nel 2012, a fronte di un reddito di 29.477 euro pro capite, in media ogni cittadino veneto ha versato al proprio comune di residenza 532 euro. Nello stesso anno, centinaia di chilometri a Sud, nello stesso mare, ogni cittadino pugliese, in media, a fronte di un reddito decisamente più basso di quello del veneto, cioè 17.246 euro e 50 centesimi, ha versato al proprio comune di residenza 3 euro in più, cioè 535 e 50 centesimi.

Un cittadino campano, addirittura, con un reddito ancora inferiore del pugliese, pari a 16.462 euro e 50 centesimi, ha sborsato oltre 550 euro. In altri termini, pur guadagnando in media 13mila euro in meno di un cittadino veneto, il cittadino campano ha versato nelle casse comunali 18 euro di più. Nello studio viene inoltre dimostrato come, nel 2012, al crescere del PIL, per ogni 1.000 euro pro capite in più, nei Comuni del Nord il prelievo si riduce di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud aumenta di 15 euro e 50 centesimi.

Questo perchè al Nord in presenza di una maggiore ricchezza diffusa si possono abbassare le aliquote e ridurre così la pressione fiscale. Sono i territori più ricchi, quindi, a ridurre i tributi. Nel 2007 ogni cittadino settentrionale ha versato al Comune di residenza in media 435 euro, diventati nel 2012 180 in più, cioè 615. Ogni cittadino del Mezzogiorno invece nel 2007 pagava 302 euro e 50 centesimi al Comune, nel 2012, cinque anni dopo, 537 euro e 80 centesimi, cioè 235 euro in più. Nel periodo 2007-2012 la pressione fiscale (intesa come rapporto tra entrate tributarie e PIL) è cresciuta in entrambe le ripartizioni, ma di più al Sud: al Nord è passata dall’1,36% del 2007 al 2,1% del 2012, con un aumento del 30%, mentre al Sud è volata del 44%, passando da 1,77% a 3,02%.

L’andamento della pressione fiscale presenta però forti differenze regionali. In assoluto nel 2012 la pressione fiscale più alta spetta ai Comuni liguri e campani, con un valore pari a 3,3%, seguiti dai pugliesi (3,1%), calabresi (3%), lucani (2,9%), abruzzesi (2,7%); Umbria, Lazio e Molise registrano una pressione fiscale del 2,6%, Toscana e Piemonte del 2,3%. Comuni più virtuosi in Lombardia e Veneto, con una pressione fiscale ferma all’1,8%.

A livello di cassa, i Comuni più esosi restano in Liguria: nel 2007 ogni ligure in media ha versato quasi 600 euro annue al proprio Comune di residenza, schizzate a quasi 900 nel 2012, seguiti da Emilia Romagna (481 euro), Lazio (450), Toscana (447) e Piemonte (419). Le entrate tributarie comunali inoltre si sono essenzialmente concentrate dell’addizionale Irpef, ICI/IMU e TARSU, la tassa sui rifiuti. Ma nel periodo in questione il Nord ha saputo differenziare, orientando il gettito su fonti diverse: se infatti nel 2007 questi tre tributi coprivano al Nord il 99,7% delle entrate totali e al Sud il 90%, cinque anni dopo, nel 2012, il loro peso è sceso rispettivamente al 72%, mentre al Sud è addirittura aumentato al 91%. Inoltre nel periodo in questione nelle due ripartizioni sia l’Irpef che la TARSU sono aumentate all’incirca nella stessa misura, mentre al Nord e solo al Nord l’ICI/IMU è crollata.

Se infatti ogni cittadino settentrionale in media nel 2007 ha versato 35,6 euro di Irpef al proprio Comune, saliti a 65,4 euro nel 2012 (+83%); e quasi 70 euro di TARSU, diventati 86,5 euro nel 2012 (+23%); i benefici si sono fatti comunque sentire sul fronte immobiliare: i 343 euro che ogni cittadino del Nord in media versava nelle casse comunali sono scesi cinque anni dopo a 209 (-39%). Al Sud, invece, l’Irpef del 2007, pari a 24,6 euro pro capite, è salita a quasi 45 euro nel 2012, con un aumento dell’82%; i 91,5 euro della TARSU sono diventati cinque anni dopo 117, con un incremento del 28%; ma i possessori di immobili hanno risparmiato poco: i 159 euro pro capite del 2007 sono diventati 157,3 nel 2012, con una flessione minima dell’1,1%.

Lo studio segnala che dal punto di vista delle entrate tributarie, nonostante il grande battage politico sul tema, l’abolizione prima e la reintroduzione poi della tassa sulla casa ICI/IMU «ha prodotto, tra i due anni, un ritorno al punto di partenza». In base all’articolo 53 della Costituzione, il sistema tributario è unitario, anche se articolato territorialmente, e si basa sui criteri della capacità contributiva e della progressività. In realtà, si legge nello studio, in presenza di una spaccatura del Paese tra un Nord regressivo e un Sud progressivo, a parità di ricchezza, i cittadini meridionali pagano di più ma usufruiscono di servizi ben peggiori non in linea con i tributi versati.

In altre parole, in Italia i ricchi non sono tutti uguali; in relazione ai tributi comunali, al Sud pagano di più, al Nord di meno. «Il fenomeno contribuisce ad accrescere le diseguaglianze del Paese e non aiuta a spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere. Il problema potrebbe essere risolto – si legge nello studio – attraverso trasferimenti perequativi. La forza degli orientamenti politici, in realtà trasversali attraverso i partiti, in un sistema in cui ampiamente e a ogni riguardo prevalgono di abbienti, è tuttavia tale che i trasferimenti siano considerati un disvalore».