Foggia e provincia prime in Italia per estensione di fenomeni estorsivi, i numeri della criminalità, la mappa delle “batterie” malavitose.
Una ventina di clan in tutta la provincia, con i tre più potenti e forti a: Foggia (e un «sottogruppo»); una media di 29/30mila reati denunciati ogni anno, più di un terzo nel capoluogo; otto tra attentati e incendi dolosi negli ultimi otto giorni (4 a Foggia, 2 a San Severo, uno a Cerignola e Apricena); 259 attentati nei primi sei mesi dell’anno, 67 nel capoluogo; le classifiche che pongono città e provincia al primo posto nazionale come numero di taglieggi m rapporto alla popolazione, con un’azienda che ad agosto ha chiuso causa racket e il titolare della pasticceria «bombardata» l’altra notte, per la seconda volta in due anni, che annuncia che farà lo stesso se dovessero chiedergli il pizzo; 12° posto nazionale quanto a rapine e 31° posto (il primo è il peggiore) su 106 province quanto a numero di reati sempre rapportato alla popolazione; quasi duemila tra carabinieri, finanzieri e poliziotti al lavoro nei 64 Comuni (Margherita di Savoia, Trinitapoli e S. Ferdinando e San Ferdinando pur appartenendo alla sesta Provincia, rientrano nella giurisdizione del Tribunale foggiano e dipendono da Questura, comandi provinciali di Arma e Fiamme Gialle), circa 800 dei quali in servizio in città, ma non tutti chiaramente su strada; un comune, Monte Sant’ Angelo, dove la Prefettura ha disposto ispezione degli atti amministrativi per verificare l’eventuale esistenza di pressioni malavitose; due commissioni – quella sulle intimidazioni ad amministratori e quella antimafia – che nell’estate scorsa sono tornare ad accendere i riflettori sulla situazione locale; una città messa a ferro e fuoco la notte del 25 giugno da un commando di almeno 20 banditi che voleva rapinare 14 milioni dal caveau dell’istituto scorta valori «Np service», assalto sventato dal coraggio di due agenti della volante dopo un conflitto a fuoco con i rapinatori, scene da film ma a Foggia la fiction non regge il paragone con la realtà. Ecco il «caso Foggia» – che il sindaco Franco Landella non esita a definire «emergenza nazionale» – raccontato dai numeri, e che giovedì prossimo sarà all’attenzione del vertice al Viminale a Roma voluto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha convocato per la mattina del 27 novembre il prefetto Luisa Latella che da anni rimarca come la città e la provincia debbano darsi una scossa, sotto forma di reazione alla criminalità, se non si vuole fare la fine di realtà intrise storicamente di mafia; del questore Piernicola Silvis che la sua analisi lucida sulla situazione l’ha consegnata il 31 luglio alla commissione parlamentare antimafia; il sindaco che da tempo sollecita una maggiore attenzione del Governo per la situazione cittadina, sotto forma di uomini e mezzi. Al vertice parteciperà anche il sottosegretario per le riforme istituzionali e i rapporti col Parlamento, l’on. Ivan Scalfarotto. In questa città la mafia è nata nella seconda metà degli anni Ottanta; mutuando riti e affiliazioni di camorra e ‘ndrangheta, anche se ci sarebbero voluti anni – l’omicidio del costruttore Giovanni Panunzio ucciso il 6 novembre del ’92 dalla mafia del pizzo, e l’omonimo maxi-processo che nel luglio ’94 sancì per la prima volta la mafiosità della criminalità foggiana – perchè la città prendesse atto; anche nelle aule di Giustizia, che la mafia non è qualcosa che riguardava solo Sicilia, Campania e Calabria. Se nell’autunno 86 la commissione antimafia, scesa per la prima volta in città sull’ onda della strage al circolo Bacardi con 4 morti ammazzati il primo maggio dell’86, parlò di criminalità a macchia di leopardo in provincia, quasi trent’anni dopo la situazione è che la pelle del leopardo è tutta macchiata. Tranne la zona di Lucera (dove pure si è combattuta una guerra di mafia sul finire del vecchio secolo, stroncata da blitz, arresti e condanne) e del Subappennino, organizzazioni mafiose sono su tutto il territorio. A Foggia ci sono tre clan (Moretti/Pellegrino; Sinesi/Francavilla; e Trisciuoglio/Tolonese) al vertice della «Società»; e il questore potrebbe rivendicare davanti al ministro come attualmente i vertici siano tutti detenuti grazie a operazioni continue di squadra mobile e carabinieri. Storicamente l’affare principale della mafia foggiana – attraversata da sei guerre di mala con oltre 40 morti ammazzati in 28 anni di vita – è rappresentato proprio dalle estorsioni. Il gip del blitz «Corona» (23 arresti dei carabinieri del Ros nel luglio 2013, processo in corso a 38 imputati, 13 dei quali già condannati in primo grado con rito abbreviato), ossia l’ultima operazione antimafia in città, ha scritto che a Foggia il taglieggio è così diffuso e dato per «scontato» dalle vittime e dai «signori del pizzo» che chi paga sa di non potersi esimere dal farlo. Proprio contro questa situazione, pagare in silenzio, è nata il 6 ottobre scorso l’associazione antiracket «Giovanni Panunzio» (la prima in città, la terza in Capitanata) che vuole non lasciare sole le vittime perchè il silenzio e la solitudine sono il miglior alleato dei malavitosi. Sono Una mezza dozzina i gruppi che operano tra San Severo, Apricena, Poggio Imperiale e Torremaggiore; 4 nella zona tra Cerignola (dove c’è la mafia più ricca, quella capace dopo le «batoste» giudiziarie del maxi-processo Cartagine degli anni Novanta di raggiungere una pax tra gruppi tale che negli ultimi vent’anni gli omicidi di mafia si contano sulle dita di una mano) e Orta Nova; altri 4 quelli operanti sul Gargano, dove venerdì prossimo – 28 novembre – ci sarà il quarto anniversario dell’omicidio dei fratelli Giovanni e Martino Piscopo imprenditori turistici sequestrati, uccisi e bruciati in auto; senza che 4 anni di indagini al di là di assicurazioni e promesse, non hanno portato aindividuare i mafiosi che li hanno uccisi e perchè l’abbiano fatto.