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15 Gennaio/ I CAPPOTTI RUSSI

Molti dei cappotti russi distribuiti ai poveri hanno una piccola toppa nel pet­to o sulla schiena. Una piccola toppa rotonda che chiude il buco attraverso il quale entrò una pallottola e uscì un’anima. Il mio cappotto ha una piccola toppa proprio in corrispondenza del cuore. È ben cucita e di panno spesso, ma – dal forellino che essa copre – entra un sottile soffio d’aria gelida anche quan­do non c’è vento. E il cuore duole, trafitto da quello spillone di ghiaccio.

GIOVANNI GUARESCHI

Nel suo Diario clandestino (1946) Giovanni Guareschi, il famoso creatore di don Camillo e Peppone, racconta questo episodio della sua esperienza durante l’internamento nel campo di prigionia tedesco. L’aspetto simbolico è evidente: quella piccola toppa colpisce il cuore di chi è in vita, trafiggendolo con lo spillone della memoria, della soli­darietà, dell’amore per chi è morto ma vive attraverso quel dono. In verità, un po’ tutti portiamo il cappotto protettivo di un altro che ora non c’è più. Abbiamo ricevuto in eredità preziosa non tanto alcuni be­ni da chi ci ha preceduto ma soprattutto alcuni valori che riscaldano l’anima, più di quanto faccia un panno o un muro per il corpo.

Già scarsa è la riconoscenza che abbiamo per quelli che ci sosten­gono e ci aiutano ora in vita. Ben più stinta (se non estinta) è la grati­tudine per chi ci ha amato in passato e ora è lontano da noi: abbiamo ricevuto doni di affetto, di stima, di insegnamenti, di valori che han­no rivestito la nostra vita, le hanno dato fremito e calore. Ma la no­stra superficialità ha sepolto tutto nell’oblio. Nel racconto di Guare­schi c’è, però, un altro aspetto da sottolineare. Ogni morte può essere un seme di vita, come diceva Gesù del chicco di grano. Ma perché questo accada, bisogna esser vissuti lasciando dietro di sé una scia di luce, di generosità, di bontà, di amore.

Gianfranco Ravasi